Deccio di Brancoli
Deccio di Brancoli
tra il Brennero e la località di Vinchiana (anch’esso toponimo romano riferito al medesimo torrente, forse da “venucula” inteso come vena d’acqua) e la sponda della Ludovica sotto il castello di Aquilea.
Sebbene non siano giunti a noi avanzi architettonici o manufatti circoscrivibili al periodo antico, è stata ritrovata una moneta romana in una vigna del luogo, un sesterzo romano molto rovinato di periodo imperiale, che rivela l’origine di questo paese.
A partire dal periodo alto medievale, dall’archivio diocesano giungono le prime menzioni riguardanti la chiesa (774), intitolata a San Frediano e le cui origini devono sicuramente circoscriversi all’ VIII secolo d.C.
Durante il periodo Longobardo, il paese continuò a svolgere ruoli di controllo sul territorio, mantenendo la presenza di murature difensive, come si può notare dal campanile, dalle tipiche forme militari, staccato dalla chiesa e ricostruito nel 1773, come si legge sulla targa in marmo ubicata sopra la porta e riutilizzando in buona parte le stesse pietre originali databili al XIII, XIV secolo.
Sulla sommità sono ancora presenti le originali merlature a coda di rondine tipiche dei governi ghibellini. La campana originale in bronzo datata 1302, firmata da Bartolomeo fiorentino e Bonturo lucchese è conservata oggi al museo di Villa Guinigi e sulla stessa si legge: “AD MCCCII Bartolomeo Florentino et Bonturo luchanus me fecerunt mente sancta spotanea honorm. Deo Patriem liberationem…Ubaldi et Quirici”.
Del periodo medievale restano invece molti interessanti avanzi architettonici che fanno capire l’ubicazione originaria del primo castello, avvalorata ancora una volta dalla presenza dei nomi di alcune località nel paese. Alla base del colle dove si erge il nucleo abitativo principale esiste infatti una località chiamata Santo Vecchio, ad indicare la presenza di una prima “vecchia” chiesa, oggi scomparsa e una serie di abitazioni che nacquero proprio sotto la rocca o il castellare che ancora oggi è visibile in parte.
In località Santo Vecchio, nella zona coltivata visibile dietro le abitazioni cerchiate, furono rinvenute alcune sepolture nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso, che però non furono divulgate causa zona coltivata e in mano a privati. Inoltre, nelle abitazioni antistanti il probabile antico cimitero esiste oggi un’abitazione che reimpiega sopra la porta d’ingresso una lunetta, forse facente parte della vecchia chiesa perduta.
Resta molto di più del castello ubicato in località Sciura (termine particolare e non difficilmente identificabile con il dialetto lombardo inerente ad un Signora o nobildonna) del quale è visibile ancora oggi uno dei torrioni difensivi, reimpiegato nei secoli successivi al medioevo in un’abitazione privata e al cui interno è ancora intatta tutta la muratura del XII, XIII secolo, comprese le feritoie da balestra.
Lo stesso tipo di muratura lo si può ammirare al centro del paese nella parte sommitale vicino alla chiesa e sta a testimoniare la presenza di strutture abitativo-difensive (forse case torri) ubicate a pochi passi dalla torre militare poi trasformata in epoca quattro- cinquecentesca in campanile. Sono inoltre presenti sotto la chiesa altre murature a scarpa di fine 600, anch’esse costruite per fini difensivi e poi reimpiegate e modificate in tempi più moderni.
Poco sopra il paese, a quota 650 metri, si ricorda l’esistenza di una grande rocca di forma simile se non identica a quella di Villa Basilica che difendeva e controllava la via detta “Garfagnina”, la quale congiungeva Matraia e la piana di Lucca alla Garfagnana. I resti di tale rocca sono ancora oggi in parte visibili, sebbene manchi una documentazione specifica inerente ad essa. A ricordare la presenza di tale apparato difensivo, rimane tuttavia il nome della località: “La Rocchetta”. Qui qualche anno fa rinvenni un’altra importante moneta datata XIII secolo detta anche “grosso lucchese”, sulla quale ancora si legge la doppia t dell’imperatore guelfo Ottone IV e sull’altra faccia la figura del Volto santo.
Sono conservati all’archivio diocesano e all’ archivio storico di Lucca molti documenti di Deccio di Brancoli e in particolar modo rogiti, atti notarili e visite pastorali; tra i tanti documenti merita ricordare le varie liti e dispute tra paesi vicini, soprattutto tra Ombreglio e Piazza. Proprio con questi 2 paesi nel corso dell’anno 1724 scoppiò una furiosa battaglia per la presenza delle capre che pascolavano al di fuori delle proprietà consentite, recando gravissimi danni alla vegetazione e alle coltivazioni e costringendo gli stessi Anziani di Lucca ad intervenire con bandi e leggi, vietando per 25 anni l’allevamento delle capre in questo territorio.
Sul punto più alto del paese in località detta “Collecchia”, forse riferito alla parte più alta del piccolo colle secondo gli studi di toponomastica del Pieri, sorge la chiesa intitolata a San Frediano che citata già in epoca carolingia, compare anche sugli estimi del 1260. La struttura ha subito ristrutturazioni e rimaneggiamenti nel corso dei secoli e in particolare l’aggiunta del fonte battesimale avvenuto nel 1550 come da iscrizione interna, il rifacimento dell’abside nel 1755 (ancora una volta segnalata da epigrafe esterna) ed infine la facciata neoclassica sullo stesso stile della coeva San Giusto di Brancoli.
L’interno conserva affreschi del 1913 eseguiti dal pittore Amedeo Carli con una riproduzione ad affresco di finti marmi e figure di santi, fra cui spicca il titolare San Frediano nella zona del coro. Da segnalare all’interno due pale inerenti ai due piccoli altari sui quali troviamo una Crocifissione con i santi Paolo, San Giovanni evangelista, Sant’Antonio abate e Maria eseguito dal pittore Arigo Arrighi e datato 1590. Per molti anni qualche abitante ha voluto ravvisare nello sfondo del quadro, lo stesso paese di Deccio quando ancora era un castello, ma a mio avviso, trattasi del paese di Castiglione Garfagnana, paese dello stesso pittore.
Infine, lungo le vie del paesino non è difficile imbattersi nelle piccole edicole o “marginette” come gli abitanti del posto amano chiamare. La presenza di tali cappelline ci ricorda quanto la nostra cultura recupera i culti e le abitudini del vecchio mondo latino, quando sui confini dei campi e ai margini delle via solevano mettere piccoli tempietti in protezione dei raccolti e intitolati alla dea Cerere (da li il termine cereale) e che in seguito, nei secoli cristiani, tale figura mutò in quella della Madonna, continuando però a rivestire il medesimo significato e cioè quello di tutelare i raccolti e preservarli dal mal tempo. Non è un caso che a Ombreglio, paese vicino, esiste una “marginetta” detta “del maltempo”. Tra le cappeline del paese di Deccio, tutte datate XVII secolo, merita ricordare quella in località Collecchia, al cui interno si conserva una tela del 1896 di bottega lucchese ancora una volta rappresentante la Vergine del Soccorso.
Negli anni 70 dell’800, Deccio perse il suo vecchio cimitero che era in origine situato sul piazzale di fronte alla chiesa e fu spostato in zona più a monte lontana dall’abitato detta a “Iappori”, come si legge da alcune carte conservate nella canonica del paese (la prima sepoltura fu di un tale Pierangelo Puccinelli il 19 aprile del 1876). Questa decisione non interessò solo il paese in questione, bensì molti altri paesi della lucchesia (nel solito periodo succede la stessa cosa a Piazza) e cominciò con il volere di Napoleone, il quale ritenne più opportuno, sicuro ed igienico il decentramento del campo santo dai luoghi abitati.
Come in molti altre zone della Brancoleria, a partire dalla prima metà del secolo XIX iniziò il fenomeno massiccio dell’emigrazione nelle Americhe, dapprima in quella del sud e dal XX secolo anche in quella del nord; ma è stato soprattutto alla fine della seconda guerra mondiale che Deccio vide l’allontanamento della maggior parte dei suoi abitanti che si spostarono nelle città in cerca di lavori più redditizi, si stava così abbandonando la società contadina e stava iniziando il boom economico degli anni Cinquanta. Per ironia della sorte, proprio mentre i nativi si allontanavano dal posto, anche Deccio fu raggiunto dal progresso scientifico: prima giunse l’energia elettrica negli 30 attraverso una piccola centrale privata installata in fondo al torrente Vinchiana ed infine la tanto bramata strada asfaltata alla fine degli anni Cinquanta. Oggi nel paese resistono a stento solo dieci abitanti, in confronto al centinaio degli inizi del Secolo scorso.
Durante la seconda guerra mondiale, tra il 1943 e il 1944, il paese fu coinvolto nel conflitto, in quanto si trovava tra la linea gotica fortificata dai tedeschi (Croce di Brancoli e Pizzorne) e la linea di avanzata americana che giunse fino a Tramonte. Deccio fu colpito molte volte dall’artiglieria alleata, costringendo gli abitanti dapprima a crearsi rifugi sotterranei in località detta Vigna e infine a sfollare definitivamente nella piana lucchese. Di questo periodo si fa memoria di atti di grande coraggio da parte della popolazione e in particolare delle sorelle Pieruccini, che capeggiate da Dora, la più grande, misero in salvo e dettero ricovero a soldati britannici fuggiti dalle linee nemiche tedesche.
Tra i tanti episodi accaduti, vale la pena rammentare l’arrivo dei prigionieri nel paese una mattina presto di fine inverno del 44, mentre la famiglia Pieruccini stava cuocendo il pane nel forno. Gli Inglesi fecero capire alla famiglia che non dovevano temere pericoli e chiesero un riparo per una sola serata. Quella sera i prigionieri dormirono nella soffitta, mentre al piano terreno sopraggiunsero i tedeschi che decisero di fermarsi al fuoco e pretesero di essere rifocillati. Mai come in quel momento l’incolumità dell’intero paese fu messa a repentaglio e il terrore gelò ogni membro di quella casa. Nonostante il rischio, non solo fu dato asilo quella notte ai soldati inglesi, ma il giorno dopo furono ricoverati in un metato vicino di loro proprietà, nel quale rimasero fino a settembre, momento in cui Dora e le altre sorelle, durante la notte consegnarono i giovani soldati agli alleati ormai sopraggiunti fino a Tramonte. Quella fu l’ultima volta che si videro, ma da quel giorno puntualmente, per la ricorrenza di ogni Natale, una lettera di auguri spedita da quei ragazzi sopraggiunse presso la famiglia Pieruccini.
Altri eventi, già raccontati da Romboli e Ramacciotti nel libro “Castellaccio Kaputt” pubblicato negli anni Ottanta del secolo scorso, hanno un altro lieto fine che si è consumato definitivamente nel 2016, quando l’ambasciata inglese è scesa in Italia ed ha consegnato la medaglia al valore alle sorelle Pieruccini e alla defunta Dora. In Comune, alla presenza dell’Ampi, dei rappresentanti inglesi e del sindaco, si è tenuta una grande cerimonia terminata con la visita alla tomba di Dora Pieruccini.
Infine, dopo l’uscita di un libro a riguardo (Escaping Hitler di Monty Halls), la CNN ha girato un documentario inerente ai fatti che è stato emesso in diverse puntate sul canale Focus e intitolato “Le grandi fughe della seconda guerra mondiale”. Durante le riprese di tale evento, le sorelle ancora in vita, Bice e Argene, hanno incontrato il figlio di uno di questi soldati ormai defunto, che per l’occasione ha voluto conoscere il paese e le donne che dettero una seconda possibilità al proprio padre.
Oggi fuori Porta Elisa a Lucca, esiste un grande cedro del Libano che è stato intitolato a Dora Pieruccini del paese di Deccio di Brancoli.
La presente descrizione deriva dagli approfondimenti condotti da A. Pisani. Per ulteriori informazioni, si v. anche la puntata della trasmissione “Viver Lucense” di NoiTV dedicata a Deccio di Brancoli: